Reportage/Inchiesta. SCUOLA E LIBERTÀ DI ESPRESSIONE (work in progress)

Reportage/Inchiesta. 

SCUOLA E LIBERTÀ DI ESPRESSIONE 

(work in progress)

di Elisabetta Berliocchi Bistarelli 


N.B. Questo articolo ha la pretesa di essere al contempo "divulgativo" e "scientifico", usando un linguaggio che arrivi sia agli operatori di settore, che al grande pubblico. 

Inizio da una parola-chiave, anzi due, e dalla mia esperienza diretta sul campo come persona, giornalista e docente curriculare, nel mio caso di Francese, di Storia dell'Arte e Territorio, di Educazione civica/Cittadinanza e Costituzione. Traggo il loro significato dall'Enciclopedia Treccani. INCLUSIONEUna parola di origine latina (inclusio-onis). "- 1. a. L'atto, il fatto di includere, cioè di inserire, di comprendere in una serie, in un tutto (spesso contrapposto a ESCLUSIONE)." INCLUSIVITA'. "Termine con cui si designano in senso generale orientamenti e strategie finalizzati a promuovere la coesistenza e la valorizzazione delle differenze attraverso una revisione critica della categorie convenzionali che regolano l'accesso a diritti e opportunità, contrastando le discriminazioni e l'intolleranza prodotte da giudizi, pregiudizi, razzismi e stereotipi. [...] Il termine si è diffuso in Italia dagli anni Novanta del Ventesimo secolo soprattutto in ambito educativo e formativo, trovando nei decenni successivi vasta applicazione nella didattica scolastica per denotare strategie educative atte a rispondere alle necessità dell'intera popolazione studentesca, con priorità per i soggetti fragili, rispettando e valorizzando le differenze individuali e definendo competenze specifiche e forme di insegnamento multilivello e pluridisciplinari". Se questo fosse davvero applicato, mi permetto di osservare, nella percezione soggettiva del gruppo verrebbe accolta ogni diversità del singolo come un "plus valore" e non come "fragilità", e il "plus valore" comunemente riconosciuto non verrebbe svilito. E' quindi lungo questo binario che procederò nel redigere un testo organico, partito come reportage di viaggio, il viaggio nella scuola e nel mondo della formazione, e rivelatosi poi una vera e propria inchiesta, anticipata a mano a mano in modo frammentario via socials (Linkedin, Facebook, Instagram, Twitter/X, Whatsapp scuola) e tramite piattaforme di settore ufficiali (Registro elettronico: "Classe Viva" gruppo Spaggiari; Nuvola Madisoft + Google: meet, classroom, gmail...), nel rispetto della deontologia e della normativa in vigore. Invito a rileggere attentamente e lentamente, per una piena comprensione e assimilazione, la definizione citata dei due lessemi, cioè vocaboli consultabili sul dizionario e sull' enciclopedia

Non facciamo però l'errore di colpevolizzare unicamente i docenti. Noi genitori abbiamo in ogni caso la maggiore responsabilità. Mi piace qui citare la conclusione di un libro per l' infanzia rivolto agli adulti. "I genitori sono responsabili della fiducia che i figli nutrono in sé stessi. Tramite il comportamento, possono fare sì che il loro bambino cresca diventando un adulto in grado di farsi strada nel mondo senza tenere conto dell'opinione degli altri. A tale scopo, i genitori mostrano al bambino la sua unicità, i suoi talenti e i suoi punti di forza speciali", scrive Alma Gross in Perché sei speciale. È auspicabile che in aula, soprattutto davanti ai compagni, lo facciano pure gli insegnanti. Con ognuno, senza distinzione di sorta. "Per farlo, è necessario distinguere la personalità del bambino dal suo comportamento". Fondamentale. "Un bambino non è mai cattivo, si comporta solo in modo sbagliato". E questo va fatto comprendere chiaramente, ma sempre senza umiliarlo o ledere la sua autostima. "Il prerequisito affinché ciò avvenga è che la comunicazione tra genitori e figli (maestri e allievi, ndr) si svolga su un piano di parità e che i sentimenti possano essere discussi in modo aperto e imparziale". Il che non vuol dire abdicare al proprio ruolo genitoriale di guida, che talvolta presuppone fermezza, bensì instaurare un dialogo continuo e autentico. Dialogo fondato sull'amore (usiamola, questa parolaè anche per amore dei discenti, oltre che per la propria materia, che si fa docenza), sul rispetto e sulla fiducia reciproci, che permetta la conoscenza delle situazioni che si trova a vivere la persona di fronte a noi, le ripercussioni che i fatti hanno su di lui, e consenta un intervento opportuno, in caso di bisogno, per necessità legate alla crescita, alla psicologia dell'età evolutiva e alla piena, sana, affermazione di sé. E qui ci viene incontro la Costituzione italiana!



Che dice l' Articolo 2 dei Principi Fondamentali? "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale". E l' Articolo 3 della nostra Costituzione che dice? "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, sociale ed economica del Paese". Ebbene, gli studenti sono dei lavoratori. Il loro lavoro è andare a scuola e studiare. Potranno un giorno persino riscattare gli anni di studio universitari ai fini pensionistici. Intanto, a scuola si va e a scuola (scuola dell'obbligo) si sta. E bisogna starci bene. Quindi, se da una parte gli alunni sono obbligati a tenere un comportamento rispettoso e consono all'istituzione che frequentano, dall'altra un docente, pubblico ufficiale, deve rendere effettivi questi diritti. Di più, deve far sì che in aula si stia bene, si possa apprendere in tutta serenità e nel migliore dei modi possibili. Purtroppo però questo non è "il migliore dei mondi possibili" come direbbe il Candide di Voltaire. Nonostante la buona volontà, tante sono le componenti che recano danno al buon vivere in aula. E qui subentra anche il ruolo dei genitori. Sembra paradossale ma è proprio tra i banchi di scuola che si fa sentire la nostra pesante influenza. Come? È presto detto. Ognuno di noi, insegnanti inclusi, porta con sé un bagaglio di viaggio: esperienze, convinzioni, pregiudizi, metodo, informazioni e conoscenze, punti di riferimento...che inevitabilmente incidono sui rapporti di interazione tra docenti-alunni-famiglie. Una delle battaglie quotidiane da svolgere costantemente  a scuola è tenere fuori dall'edificio scolastico ingerenze che lì non hanno ragione di esistere. Bambini, ragazzini e ragazzi sono "spugne" e talvolta assorbono ciò che non dovrebbero. E fin qui "ho scoperto l'acqua calda". Dov'è che si passa dalla semplice riflessione, frutto di buon senso, all'azione? Sul campo. Ecco perciò che la presenza/posizione (scomoda) di un giornalista a scuola si configura come testimonianza di un professionista, nell'esercizio e nella veste duplice di docente e reporter, con un figlio in piena età scolare. In bilico tra interesse degli alunni e dell'istituzione scolastica, deontologia professionale, normativa vigente, diritti/doveri e, last but not least, la propria coscienza. Un "gioco" di equilibri estremamente delicato, e in alcuni casi pericoloso, perché un gioco non è.

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