IL MANIFESTO DI ASSISI, ROBERTO SAVIANO, GIULIO REGENI: "cura e accuratezza dell'informazione"

Il Manifesto di Assisi, Roberto Saviano e Giulio Regeni: 
“cura e accuratezza dell’informazione”


di Elisabetta Berliocchi Bistarelli


Ieri, 14 ottobre, nell’aula bunker di Rebibbia, tutti pronti per il processo. E il processo non c’è più. Per ora. La III Corte d’Assise di Roma ha annullato il decreto di rinvio a giudizio per gli 007 accusati di aver sequestrato, torturato e ucciso Giulio Regeni. Mentre scrivo questi tre participi passati il mio cuore batte più forte. Non riesco a non pensare ai genitori di Giulio, Paola Deffendi e Claudio Regeni, e alla sorella Irene, alle loro parole, ai loro volti, ma soprattutto ai loro cuori spezzati. Il Governo italiano si è costituito parte civile. Dal 14 ottobre 2017 “la scorta mediatica” segue le vicende di questo giovane ricercatore friulano, che oggi vorremmo tutti abbracciare, del quale è impossibile dimenticare il sorriso, una volta visto, anche se soltanto in una foto. “Scorta mediatica”… che cos’è? Rimando all’articolo di Guido D’Ubaldo del 24 agosto 2017 dal titolo “La scorta mediatica è il miglior strumento di difesa che abbiamo a disposizione” («Articolo 21 liberi di… Il dovere di informare, il diritto ad essere informati», www.articolo21.org).

“Occhi e orecchie aperti. Non distraetevi. Stateci vicini con rispetto e discrezione”, quella discrezione che loro, la mamma e il papà di Giulio, pur facendo sentire la propria voce, hanno manifestato anche dal maxischermo, nella Sala del Consiglio comunale di Perugia,  a chiusura della tavola rotonda coordinata da Giuseppe Giulietti sul tema “Cura e accuratezza nell’informazione”. Un evento organizzato, a ridosso della Marcia PerugiAssisi 2021, da Articolo 21 con Sacro convento di Assisi, Federazione nazionale stampa italiana, Ordine dei giornalisti dell’Umbria, Tavola della Pace. Sulla scorta mediatica si è espresso anche padre Enzo Fortunato, proprio in nome della “dignità” e della “preziosità”, del “prendersi cura dell’altro”, che “non mi è indifferente”, dell’ “impegno”. Ha ricordato, come sacerdote e giornalista, quello che ha definito “un peccato”: “il giornale a volte dimentica. Questo può accadere per le cose effimere, per le sfilate”, ma “quando è in gioco la persona umana” no, non può accadere. La vita umana non è un gioco, per usare un gioco di parole che gioco non è. “I processi di verità sulle persone” sono tesi a “far emergere la verità e a mantenerla viva”, anche attraverso la scorta mediatica, “tema carissimo a Papa Francesco”. Padre Antonio Spadaro, direttore di «Civiltà Cattolica», in collegamento, non potendo essere in presenza per il Sinodo, ha sottolineato che “la scrittura giornalistica” può avere un “valore terapeutico”, “la tastiera può essere usata per costruire un mondo migliore”, “per avvicinarsi”, farsi prossimi, sentirsi fratelli, “per aiutare, non per arrecare danno”. Necessario a tale scopo: “comunicare una realtà nella sua interezza, senza eludere, manipolare, oscurare. Il Papa chiede all’informazione che sia veritiera, chiara, intera” e “declina l’invito «venire e vedere» sul piano del giornalista: «venite e raccontate»”. “Per conoscere bisogna ascoltare e incontrare”, “andare là dove nessuno va”, dove ci sono “soprusi”. No a “comunicazione preconfezionata di palazzo”, no a “comunicazione asservita e ideologica”. Certamente “la tecnologia moltiplica la capacità di racconto e condivisione”, ma tutto deve passare al vaglio della “verifica”. Ci sono dei diritti e dei doveri. E proprio “il Manifesto di Assisi può diventare la chiave di una nuova comunicazione. Una comunicazione capace di portare attenzione sulle periferie del mondo, onesta nel non temere di dare una rettifica, responsabile nell’uso delle parole e nel ripudio dell’ hate speech, autorevole nel presidiare la rete in modo credibile e nuova nella sua attitudine di portare il messaggio dalle piazze alle nuove agorà (Matteo Grandi, Enzo Fortunato “Contro i muri mediatici”). “Noi dobbiamo essere megafono di chi questa voce non ce l’ha!”, ha dichiarato padre Antonio Spadaro, ma il “Decalogo della Carta di Assisi” dovrebbe essere il punto di riferimento morale, comportamentale, oltre che deontologico, di chiunque faccia comunicazione, giovani e giovanissimi on line inclusi!

Ieri sera ho letto “Sono ancora vivo” di Roberto Saviano e Asaf Hanuka (Bao Publishing: merita soffermarsi pure sul logo creato da Cliff Chiang). L’ho letto tutto d’un fiato, ma davanti ad alcune pagine mi sono fermata, quasi senza respirare. In silenzio. Un silenzio dell’anima. Ho versato delle lacrime, certo non quanto le sue…un mare di lacrime. Ho sorriso, persino riso. Davanti ad altre pagine sono indietreggiata, anche con il corpo, pur tendendo la mano. Non lo conosco personalmente, ma ho provato, provo autentico bene per questa persona. Se con «Gridalo» è lui a prendersi cura delle persone di cui scrive e dei lettori, con «Sono ancora vivo» è il lettore che non può far a meno di prendersi cura di quel Roberto travolto dagli eventi accaduti a Saviano. Quando lo guardi fisso negli occhi, sulla copertina rigida disegnata da Asaf Hanuka, non puoi voltarti dall’altra parte. Il libro inizia parlando di suo fratello, di quando giocavano a subbuteo, e lui aveva 8 anni, Roberto 12. È il primo capitolo e termina con un abbraccio tenero, forte, avvolgente. L’ultimo invece è un “desiderio”, di una fredda gelida notte di Natale, in cui non resta che lanciare un “Sos” con il cellulare, quello di sentir suonare alla porta suo fratello, infermiere, e aprendo vederlo con un subbuteo in mano e un grande luminoso sorriso. Davanti al calore del fuoco è bello ritrovarsi bambini…

Le mafie una cosa sola la sanno per certa, il loro destino e la loro sicurezza c’è una sola cosa che può comprometterli: la parola che si spinge oltre il perimetro della cronaca e diventa il racconto di una vita, e poi di un’altra e di un’altra ancora, fino a diventare il racconto di una terra, fino a farti vedere chiaramente come quel racconto ti riguardi, perché è anche il tuo racconto. Perché è anche la tua ferita” Parola di Roberto Saviano

 

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